martedì 18 novembre 2008

Ilan Pappé: La pulizia etnica della Palestina



Ci sono diversi gradi di conoscenza di una verità o, se si vuole, di interiorizzazione della verità di cui si viene a conoscenza. Sapere che qualcosa è successo, averne la certezza, spesso non è sufficiente a percepire il grado di gravità degli eventi, il livello di colpevolezza degli attori e le sofferenze inflitte.

Mentre leggo questo libro mi viene in mente in modo ricorrente un parallelo con un altro che mi fece un effetto simile: "Mai più", il libro edito nel 1984 per documentare le atrocità del regime militare argentino nella dittatura 1976-1983. Sapevo dei desaparecidos, dei campi di concentramento e delle torture, ma la documentazione di questi fatti in modo dettagliato consegna inequivocabilmente la tragedia alla storia nelle sue reali dimensioni.

La sensazione che provo con "La pulizia etnica della Palestina" di Ilan Pappé è quella di toccare, di sentire l'evento raccontato e in qualche modo già noto: L'inizio della nakba palestinese del 1948. Le dimensioni della catastrofe sono, per chi ha avuto la costanza e la voglia di informarsi, in parte evidenti anche attingendo ad altre fonti. In questo libro però le atrocità perpetrate da Israele sono dettagliate e soprattutto documentate con una meticolosità disarmante. La qualità delle fonti principali a cui Pappé attinge sono tali da non lasciare scampo: archivi ufficiali dell'IDF e diario di Ben Gurion, per citarne i più emblematici. L'autore fa riferimento alle memorie dei profughi e dei discendenti per ricostruire le dinamiche puntuali delle espulsioni nei villaggi e, spesso, per dare evidenza dell'esistenza stessa dei villaggi prima della loro cancellazione.

In estrema sintesi è la pianificazione, l'organizzazione e la volontarietà di Israele nelle espulsioni e distruzione dei villaggi ad essere provata in questo saggio: la messa a punto di un piano preciso, il piano Dalet, e la sua esecuzione. La pulizia etnica appunto.

L'angoscia data dalla sensazione di irreversibilità di certi atti di "pulizia", in particolare la cancellazione di interi villaggi con relativa "ebraicizzazione", si mescola con l'irritazione per il silenzio con cui la stampa mondiale tratta la questione. Ci sono passaggi citati sia del diario di Ben Gurion sia di alcuni documenti dell'IDF che non danno luogo a dubbi interpretativi, risulta sconcertante l'indifferenza dei media di fronte a prove così gravi di crimini contro l'umanità di tale portata.

Un libro necessario che ricostruendo quanto accadde nell'anno cruciale per la Palestina, il 1948, ristabilisce il rapporto tra vittime e carnefici, aggressori e aggrediti troppo spesso confuso in altre letture anche progressiste.

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