mercoledì 8 ottobre 2008

Perché la Palestina...

I motivi per cui la questione palestinese è in un certo modo non solo centrale nella politica mondiale ma anche emblematica delle dinamiche con cui il sistema agisce sono vari.

In modo principale c’è sicuramente la natura stessa della questione: occupazione, espropriazione e segregazione su base etnica/religiosa effettuata con la forza economica e militare da parte della cosiddetta “civiltà occidentale e democratica”. Si tratta di elementi odiosi nella loro crudezza, anche perché a giustificarli spesso viene tirato in ballo l’olocausto e simmetricamente chi li denuncia viene accusato di antisemitismo.

Ma non c’è solo questo, anche se basterebbe da sé a giustificare lo sdegno. Sui conflitti in Palestina i mezzi di informazione, in modo trasversale rispetto alle correnti politiche parlamentari a cui fanno riferimento, si mostrano particolarmente coesi ed efficaci nel mantenimento di un alto livello di disinformazione. L’omogeneità dei punti di vista e delle argomentazioni in merito al rapporto tra Israele, Territori Occupati e Popolo Palestinese in una stridente distanza tra realtà e la sua rappresentazione, è patologica e sospetta. Chi riesce, con impegno personale, ad oltrepassare la cortina di fumo sollevata dai nostri mass media, (non) impara a convivere con questa sensazione di doppio sdegno: per le soprafazioni fatte e per i modi di rappresentarle del giornalismo occidentale.

La tecnica prevalente è quella di utilizzare l’effettiva complessità degli equilibri (squilibri) tra le forze in campo e delle circostanze che gravano sulla questione, addentrandosi solo in certi aspetti del conflitto, per perdere di prospettiva sulla relativa semplicità che deriva da una divisione netta tra chi occupa e chi subisce l’occupazione. In Palestina si lotta per terra e risorse, entrambe per gran parte in mano a Israele.

Da quando cominciavo a leggere le prime pagine sul conflitto arabo-israeliano mi succedeva, e mi succede ancora, di cercare continuamente i riferimenti di quanto raccontato sulla cartina geografica per cercare di avere una migliore percezione dell’entità degli avvenimenti. Mi sembra naturale cercare di capire cosa avviene sul territorio in un conflitto di natura territoriale.

Probabilmente si potrebbe smascherare una buona parte delle impostazioni che i media danno alla questione con la sola illustrazione di una o due cartine geografiche.

Giusto per fare qualche esempio, pensiamo alle discussioni interminabili che ancora oggi si protraggono sul rifiuto di Arafat agli accordi di Camp David. Questo era l’asetto proposto della cisgiordania:




Di fronte alla rappresentazione grafica dello “stato” proposto, i dibattiti occidentali sull’errore fatto dalla delegazione palestinese nel non firmare l’accordo assumono contorni grotteschi. Senza neanche il bisogno di approfondire su questioni irrisolte e di primaria importanza come il diritto al ritorno dei profughi ed il controllo delle risorse naturali.

Merita attenzione anche la perenne dicotomia proposta tra Israele come avamposto di democrazia occidentale da un lato e becero integralismo islamico dall’altro. Dimenticano i nostri cronisti che Israele è uno stato Ebraico, nella cui bandiera la stella di Davide ha un rilievo particolare e che il diritto di cittadinanza si ottiene su base confessionale. Dimenticano anche che la componente principale dell’OLP, Fatah, è stata da sempre un’organizzazione laica. Così come pochissimo – per non dire nessuno - spazio e ripercussione hanno le proposte di alcuni settori della resistenza palestinese che propongono un solo stato per entrambi i popoli basato sul principio di una testa – un voto. I dibattiti assumono contorni allucinanti quando a queste proposte viene argomentato, come fosse un passaggio logico elementare, il diritto “sacrosanto” degli ebrei di avere uno stato ebraico. D’altra parte vengono messi ben in evidenza gli aspetti di integralismo presenti in fazioni come Hamas o il Jihad Islamico. Ma si presentano solo quelli, nessuno che approfondisca sulla natura di questi movimenti, sulla loro genesi o sui loro effetti obiettivi.

Allo stesso modo, dalle cronache che si forniscono, soprattutto in tv, non si riesce mai a cogliere fino in fondo lo stato di occupazione militare in cui versano i territori di cui si raccontano le vicende. Il fatto che Israele occupi militarmente un territorio, violando ormai da decenni diverse risoluzioni ONU, sembra non essere un fatto degno di evidenza. Naturale a questo punto che l’occupante possa anche costruire un muro con un tracciato deciso a piacimento e disegnare quindi i propri confini de facto in modo unilaterale.

Insomma, senza andare avanti ancora sui diversi altri esempi che possano venire in mente e che meritano singolarmente maggiore approfondimento, nel conflitto mediorientale la sinergia tra potere mediatico, politico e militare si esprime al meglio, mantenendo il popolo palestinese nell’oppressione e quello europeo nell’ignoranza.