sabato 27 dicembre 2008

Gaza sotto le bombe


Ricompare la Palestina sui nostri televisori e giornali. Piovono i missili sionisti assassini sul cielo di Gaza, muoiono sotto le bombe civili, donne e bambini. Duecento vite spezzate nella mattinata di un sabato ancora di festa in Europa. Duecento famiglie piangono i loro morti mentre il cronista italiano da Gerusalemme ci racconta delle basi terroristiche colpite, dei miliziani morti e dei razzi al qassam lanciati su Sderot - causa della rappresaglia. Sarebbe forse stato meglio che il silenzio fosse continuato ancora, meglio ignorare i morti che insultare un popolo in questo modo.
Mentre cerco di elencare mentalmente le mancanze del sistema mediatico che siamo costretti a subire mi rendo conto che ormai è inutile. Cercare di smontare il grottesco è un'impresa che rende folli. Questo senso di indignazione ed impotenza che dilaga nelle fonti di informazione indipendenti è un tratto che accomuna i pochi che sfuggono al meccanismo.

Risulta chiaro a questo punto della vicenda la malafede con cui si muovono i nostri opinion makers. Mi risulta invece ancora incomprensibile il meccanismo con il quale il Sistema dirige l'orchestra. Intendo dire nella pratica, in quel tratto di strada che fa il pensiero dalla mente alla tastiera del computer, nel singolo giornalista che si informa, cerca e poi scrive il suo pezzo. Come esercita il suo controllo il Sistema sull'ultimo ingranaggio? Il controllo pubblicitario, le ingerenze politiche, il controllo oligopolico dell'economia dell'informazione è qualcosa che abbiamo ben assimilato. Non capisco chi - né come - detta le notizie ad un giornalista inviato a Gerusalemme. Non mi è chiaro chi - se c'è - alza un telefono e dà indicazioni ad Ezio Mauro sul come ignorare i 25 morti palestinesi nella striscia di Gaza durante la "tregua" di 6 mesi appena finita dando invece tanta enfasi ai lanci di razzi che fanno due vittime. Per inciso due bimbe palestinesi, morte per un errore, le uniche bimbe palestinesi morte degne di essere citate. Chi o cosa ha l'incarico di diffondere la direttiva sul silenzio stampa di fronte alle dichiarazioni del presidente dell'assemblea dell'ONU, Miguel d'Escoto Brockmann, che confronta la situazione in palestina all'apartheid sudafricano?
E come arriva un Valentino Parlato a schierarsi affianco a Israele e a darti dell'antisemita se appoggi la resistenza palestinese è qualcosa di ancora più oscuro. Visto che nessuno si scusa ancora per le sviste.

domenica 23 novembre 2008

La Palestina Scomparsa



La palestina è scomparsa dai mass media in questi giorni. E' tutto calmo e la pace regna sovrana nella terra promessa.

In realtà, la situazione è più o meno la seguente:

- C'è un pacifista italiano arrestato - sarebbe più corretto dire sequestrato - insieme ad altri 2 pacifisti e 15 pescatori palestinesi in acque internazionali a largo di Gaza che domani dovrebbe essere espulso da Israele. Illegittimamente detenuto e altrettanto illegittimamente deportato.

- La striscia di Gaza è in stato di assedio, manca spesso la luce ed i generi alimentari, i farmaci. Luisa Morgartini, Vice Presidente del Parlamento Europeo, valuta in "255 i malati di Gaza morti dal giugno del 2007 perché non hanno ottenuto dalle autorità israeliane il permesso di uscire e farsi curare altrove". Vietato pescare e bloccato il commercio con l'Egitto.

- In Cisgiordania, oltre alle angherie delle forze di occupazione (decine di arresti), prosegue la lotta intestina tra ANP e HAMAS, con l'arresto di esponenti e simpatizzanti del movimento islamico da parte di squadroni dell'ANP.

- A Gerusalemme è in atto una accelerazione sulla demolizioni di abitazioni palestinesi e la messa in atto di piani urbanistici per l'ebraizzazione di Gerusalemme Est.

- Il premio Nobel per la pace, Mairead Maguire, ha chiesto alle Nazioni Unite di sospendere o revocare l'adesione di Israele poiché, negli anni, ha violato o ignorato una serie di risoluzioni Onu.

Di questi punti, che elenco in modo volutamente sommario, non c'è traccia nei telegiornali, radiogiornali né sulle maggiori testate.

martedì 18 novembre 2008

Ilan Pappé: La pulizia etnica della Palestina



Ci sono diversi gradi di conoscenza di una verità o, se si vuole, di interiorizzazione della verità di cui si viene a conoscenza. Sapere che qualcosa è successo, averne la certezza, spesso non è sufficiente a percepire il grado di gravità degli eventi, il livello di colpevolezza degli attori e le sofferenze inflitte.

Mentre leggo questo libro mi viene in mente in modo ricorrente un parallelo con un altro che mi fece un effetto simile: "Mai più", il libro edito nel 1984 per documentare le atrocità del regime militare argentino nella dittatura 1976-1983. Sapevo dei desaparecidos, dei campi di concentramento e delle torture, ma la documentazione di questi fatti in modo dettagliato consegna inequivocabilmente la tragedia alla storia nelle sue reali dimensioni.

La sensazione che provo con "La pulizia etnica della Palestina" di Ilan Pappé è quella di toccare, di sentire l'evento raccontato e in qualche modo già noto: L'inizio della nakba palestinese del 1948. Le dimensioni della catastrofe sono, per chi ha avuto la costanza e la voglia di informarsi, in parte evidenti anche attingendo ad altre fonti. In questo libro però le atrocità perpetrate da Israele sono dettagliate e soprattutto documentate con una meticolosità disarmante. La qualità delle fonti principali a cui Pappé attinge sono tali da non lasciare scampo: archivi ufficiali dell'IDF e diario di Ben Gurion, per citarne i più emblematici. L'autore fa riferimento alle memorie dei profughi e dei discendenti per ricostruire le dinamiche puntuali delle espulsioni nei villaggi e, spesso, per dare evidenza dell'esistenza stessa dei villaggi prima della loro cancellazione.

In estrema sintesi è la pianificazione, l'organizzazione e la volontarietà di Israele nelle espulsioni e distruzione dei villaggi ad essere provata in questo saggio: la messa a punto di un piano preciso, il piano Dalet, e la sua esecuzione. La pulizia etnica appunto.

L'angoscia data dalla sensazione di irreversibilità di certi atti di "pulizia", in particolare la cancellazione di interi villaggi con relativa "ebraicizzazione", si mescola con l'irritazione per il silenzio con cui la stampa mondiale tratta la questione. Ci sono passaggi citati sia del diario di Ben Gurion sia di alcuni documenti dell'IDF che non danno luogo a dubbi interpretativi, risulta sconcertante l'indifferenza dei media di fronte a prove così gravi di crimini contro l'umanità di tale portata.

Un libro necessario che ricostruendo quanto accadde nell'anno cruciale per la Palestina, il 1948, ristabilisce il rapporto tra vittime e carnefici, aggressori e aggrediti troppo spesso confuso in altre letture anche progressiste.

mercoledì 8 ottobre 2008

Perché la Palestina...

I motivi per cui la questione palestinese è in un certo modo non solo centrale nella politica mondiale ma anche emblematica delle dinamiche con cui il sistema agisce sono vari.

In modo principale c’è sicuramente la natura stessa della questione: occupazione, espropriazione e segregazione su base etnica/religiosa effettuata con la forza economica e militare da parte della cosiddetta “civiltà occidentale e democratica”. Si tratta di elementi odiosi nella loro crudezza, anche perché a giustificarli spesso viene tirato in ballo l’olocausto e simmetricamente chi li denuncia viene accusato di antisemitismo.

Ma non c’è solo questo, anche se basterebbe da sé a giustificare lo sdegno. Sui conflitti in Palestina i mezzi di informazione, in modo trasversale rispetto alle correnti politiche parlamentari a cui fanno riferimento, si mostrano particolarmente coesi ed efficaci nel mantenimento di un alto livello di disinformazione. L’omogeneità dei punti di vista e delle argomentazioni in merito al rapporto tra Israele, Territori Occupati e Popolo Palestinese in una stridente distanza tra realtà e la sua rappresentazione, è patologica e sospetta. Chi riesce, con impegno personale, ad oltrepassare la cortina di fumo sollevata dai nostri mass media, (non) impara a convivere con questa sensazione di doppio sdegno: per le soprafazioni fatte e per i modi di rappresentarle del giornalismo occidentale.

La tecnica prevalente è quella di utilizzare l’effettiva complessità degli equilibri (squilibri) tra le forze in campo e delle circostanze che gravano sulla questione, addentrandosi solo in certi aspetti del conflitto, per perdere di prospettiva sulla relativa semplicità che deriva da una divisione netta tra chi occupa e chi subisce l’occupazione. In Palestina si lotta per terra e risorse, entrambe per gran parte in mano a Israele.

Da quando cominciavo a leggere le prime pagine sul conflitto arabo-israeliano mi succedeva, e mi succede ancora, di cercare continuamente i riferimenti di quanto raccontato sulla cartina geografica per cercare di avere una migliore percezione dell’entità degli avvenimenti. Mi sembra naturale cercare di capire cosa avviene sul territorio in un conflitto di natura territoriale.

Probabilmente si potrebbe smascherare una buona parte delle impostazioni che i media danno alla questione con la sola illustrazione di una o due cartine geografiche.

Giusto per fare qualche esempio, pensiamo alle discussioni interminabili che ancora oggi si protraggono sul rifiuto di Arafat agli accordi di Camp David. Questo era l’asetto proposto della cisgiordania:




Di fronte alla rappresentazione grafica dello “stato” proposto, i dibattiti occidentali sull’errore fatto dalla delegazione palestinese nel non firmare l’accordo assumono contorni grotteschi. Senza neanche il bisogno di approfondire su questioni irrisolte e di primaria importanza come il diritto al ritorno dei profughi ed il controllo delle risorse naturali.

Merita attenzione anche la perenne dicotomia proposta tra Israele come avamposto di democrazia occidentale da un lato e becero integralismo islamico dall’altro. Dimenticano i nostri cronisti che Israele è uno stato Ebraico, nella cui bandiera la stella di Davide ha un rilievo particolare e che il diritto di cittadinanza si ottiene su base confessionale. Dimenticano anche che la componente principale dell’OLP, Fatah, è stata da sempre un’organizzazione laica. Così come pochissimo – per non dire nessuno - spazio e ripercussione hanno le proposte di alcuni settori della resistenza palestinese che propongono un solo stato per entrambi i popoli basato sul principio di una testa – un voto. I dibattiti assumono contorni allucinanti quando a queste proposte viene argomentato, come fosse un passaggio logico elementare, il diritto “sacrosanto” degli ebrei di avere uno stato ebraico. D’altra parte vengono messi ben in evidenza gli aspetti di integralismo presenti in fazioni come Hamas o il Jihad Islamico. Ma si presentano solo quelli, nessuno che approfondisca sulla natura di questi movimenti, sulla loro genesi o sui loro effetti obiettivi.

Allo stesso modo, dalle cronache che si forniscono, soprattutto in tv, non si riesce mai a cogliere fino in fondo lo stato di occupazione militare in cui versano i territori di cui si raccontano le vicende. Il fatto che Israele occupi militarmente un territorio, violando ormai da decenni diverse risoluzioni ONU, sembra non essere un fatto degno di evidenza. Naturale a questo punto che l’occupante possa anche costruire un muro con un tracciato deciso a piacimento e disegnare quindi i propri confini de facto in modo unilaterale.

Insomma, senza andare avanti ancora sui diversi altri esempi che possano venire in mente e che meritano singolarmente maggiore approfondimento, nel conflitto mediorientale la sinergia tra potere mediatico, politico e militare si esprime al meglio, mantenendo il popolo palestinese nell’oppressione e quello europeo nell’ignoranza.